Il Salotto di Malcom: Marco Cantini

1403

L’avevo incontrato. Eh si amici di Malcom. L’avevo visto anche in incognito in una Firenze estiva per l’adunanza dei cantautori escogitata ad arte dal cantautore e amico (suo) Marcello Parilli. Belle cose… ed è sempre bello muoversi in anonimato, così da non destare attese. E poi ascoltai e ospitati il suo precedente disco e mi fu chiaro che in questo lavoro di canzone d’autore, di senso sterile ed estetico c’è davvero poco e niente. Davvero non esiste modo per catalogare la canzone di Marco Cantini se non con parole di pregio e di grande rispetto… e di indubbia qualità. Per comprendere a fondo questo nuovo disco dal titolo “La febbre incendiaria” penso si richieda al pubblico un potere critico che ormai l’effimero impatto estetico che governa ogni cosa ha polverizzato. Dunque visto che senza ritornelli e motivetti ci sentiamo privi di appigli, nudi e incapaci di pensare con la nostra testa, allora va da se che questo disco risulterà noioso e insopportabile, privo di senso… Per questa ragione il vostro Malcom oggi si rivolge a chi ha conservato personalità. Marco Cantini canta la letteratura di Elsa Morante. L’avevamo detto e anticipato anche con il video “L’Orrore” e oggi eccoci a parlarne per esteso di questo disco che narra “La Storia”, un grandissimo romanzo che temo non arriverà mai a godersi la pace della critica. Canzone impegnata, di parole impegnative, di un senso per niente leggero, di un significato e di un significante che non hanno il target dell’estetica. E poi il disco, per mia grandissima sorpresa, scopro essere registrato live in studio… e che gran suono che esce dall’impianto. A seguire ecco due chiacchiere che penso non avrebbero mai fine con una personalità di coscienza critica e spessore cantautore come Marco Cantini:

Mi perdonerai se voglio dirigere questa intervista sul filo della polemica, non quella becera ma quella costruttiva. Hai realizzato un disco pregiato e ricco di cultura. Ora, a leggere la presskit, sappiamo come codificarlo. Ma per chi non ha niente, per chi come oggi accende spotify piuttosto che sfogliare distrattamente il disco fisico tra le mani… perché non dare sfacciate spiegazioni di quello che hai realizzato? Che motivo c’è dietro?

È una domanda che mi viene rivolta spesso, oggetto di discussione soprattutto ai tempi del precedente album. Provo a risponderti così: da una vita ascolto artisti che hanno scritto o cantato intramontabili brani come “La domenica delle salme”, “Primavera di Praga”, “Agosto”, o “Il signor Hood”. Solo un esempio, tra gli innumerevoli che avrei potuto farti, nei quali storia, politica e cronaca si intrecciano attraverso un sapiente uso di metafore e di un linguaggio altamente poetico. Questo perché mi ha sempre emozionato l’utilizzo che certi grandi autori hanno fatto della parola, nell’evocare anziché invocare, spingendomi sempre a saperne di più: per me, non capire, non è mai stato un deterrente all’ascolto. Al contrario, un motivo in più per addentrarmi nelle frasi, sedotto dalla musica e dal modo con cui questi maestri plasmavano elementi caotici e dispersi. Dando sempre un senso a ciò che senso non ha, come diceva Claudio Lolli. E poi, aggiungo che quando si affrontano certi temi con un linguaggio troppo semplice e diretto, questi diventa slogan. Rischiando quasi sempre, dal mio punto di vista, di divenire miseramente privo di qualità artistica e fascino.

Che poi, parlando in generale, mi si dirà a ragione: la colpa è della superficialità altrui e non “mia”… condivido… ma se la musica è condivisione, appunto, non è questo un motivo nobile per scendere a compromessi visto il livello basso di attenzione e cultura che dovrà accogliere l’opera?

Direi di no. Perché la musica, per ciò che mi riguarda, è condivisione ma non prostituzione. Scrivo prima di tutto per me stesso, dopodiché è ovvio che la mia umana speranza – quella di chiunque cerchi di comunicare dal proprio ambito artistico – è trovare interlocutori che possano apprezzare. Tornando alla tua domanda precedente, sarà vero che per chi non ha letto “La Storia” possa essere complesso collegare certi tasselli della narrazione. Però, attenzione: i testi stavolta sono molto comprensibili, ed i riferimenti sono a pagine importanti della nostra storia che non è accettabile non conoscere.

Ma anche dalle prime battute: perché non trovare un titolo di maggiore riferimento con il romanzo e la Morante stessa? Almeno un qualche appiglio al pubblico…

Come ho detto più volte, il vero obiettivo non era riproporre pedissequamente un grande romanzo, facendone una specie di sinossi in canzoni. Sarebbe stata un’operazione inutile e stupida. La verità, è che il titolo resta una sorta di appendice alla mia interpretazione del romanzo, che – al di là di certe recensioni uscite negli anni settanta – non si discosta affatto da quella che la critica gli riconobbe, ritenendola una delle opere più importanti del ‘900 letterario italiano. E ribadisco ancora: il motivo della mia scelta resta incastonato nella spaventosa attualità che permane nel messaggio morantiano. Altrimenti, ripeto, non avrebbe avuto senso realizzare un disco simile.

Onestamente confesso di non aver letto questo romanzo e quindi ho avuto pochissimi strumenti per codificare al meglio queste canzoni. Ecco: non pensi di aver in qualche modo “escluso” dal messaggio delle canzoni chi come me è lontano da queste letture? 

Sono sincero: ritengo che ci siano davvero pochi brani di difficile comprensione, anche per chi non ha letto il libro. I testi sono narrativi, fedeli allo stile del romanzo che ebbe volutamente un linguaggio popolare per essere alla portata di tutti. E poi sono gli anni della seconda guerra mondiale, dell’occupazione tedesca a Roma, dell’immediato dopoguerra. Quando non se ne fa espressamente riferimento, si raccontano storie di personaggi comuni, storie di ideologie e di violenza che sono ricorrenti in ogni epoca.

Un suono davvero bello, musica delicata, pregiata… non smetterò mai di dirlo. Testualmente parlando il disco è curato in modo esemplare. Parlami invece dell’aspetto musicale, della scrittura, dell’arrangiamento…

La musica e gli arrangiamenti sono stati trattati con la stessa cura dei testi. Quando ho cominciato a scrivere la prima canzone (a differenza del disco precedente) sapevo già dove volevo arrivare, avevo già chiare le atmosfere musicali che avrebbero dovuto accompagnare il racconto. Per questo, ho fin da subito fissato le melodie – per me, fondamentali – dei tanti temi strumentali presenti in questo album. Poi la straordinaria bravura di Riccardo Galardini, Lorenzo Forti, Lele Fontana, Gianfilippo Boni, Francesco Moneti, Claudio Giovagnoli e Fabrizio Morganti ha fatto il resto: un team di uomini e musicisti che rappresenta un’eccellenza. Anche per questo, probabilmente la parte più divertente ed emozionante di tutto il percorso fatto, è stata proprio quella che ci ha visto lavorare tutti assieme, in sala prove, alle canzoni dell’album.

Mi fanno notare e raccolgo a pieno: per salutarci parliamo di questo video e sottolineo il messaggio sociale, etnico, razziale che penso tu abbia voluto anche coccolare. Tra l’altro questo video ha dentro di se un’importante citazione di stile… non è così?

Non parlerei di messaggi, che in generale non amo, ma piuttosto di umano esempio. Auspicando un risveglio, un comportamento etico di massa che possa prima o poi azzerare quel laboratorio sociale regressivo che sta tristemente proliferando attorno a noi. È vero, all’interno del video di “Un figlio” ci sono due raffinate citazioni con i quali i registi, Giacomo De Bastiani e Lorenzo Ci, hanno voluto rendere omaggio a François Truffaut e Jean-Luc Godard: attraverso la loro personale interpretazione delle celebri scene di “Jules e Jim” e “Bande à part”.  

Avevamo lanciato il singolo “L’orrore”. Beh torniamo a dare voce a questo disco per la seconda volta ed eccoti con il nuovo singolo “Un figlio”. E che bel VIDEO di citazioni finissime che personalmente neanche conoscevo. Insomma: un esempio importante per capire come e quanto sia spesso difficile accettare che altro sfugga al nostro sapere. Quando qualcosa non la capiamo, non sempre significa che sia sbagliata. E imparare da questo disco è quella piccola cosa che prova a salvarci dall’effimero niente di questa società che ci stiamo costruendo. Almeno ci prova…